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Il prato del Curi di Perugia fra i peggiori della serie B

Il manto erboso è al terz’ultimo posto nella classifica della Lega B: per il club c’è il rischio-decurtazione dei contributi per i diritti televisivi. Peggio solo lo ‘Zini’ di Cremona e il ‘Marulla’ di Cosenza, in vetta Cittadella, Padova e Verona.

Tempi difficili per lo stadio Curi. In attesa dell’ormai famoso progetto di restyling, arrivano brutte notizie anche sul terreno di gioco, su cui si sofferma Il Messaggero oggi in edicola. Il manto erboso di Pian di Massiano, un tempo fra i migliori in Italia, è stato classificato ora il terz’ultimo della serie B.

A certificarlo, una classifica voluta dalla Lega di Serie B, che alle affiliate chiede le condizioni migliori possibili per il terreno di gioco, sia dal punto di vista estetico che della praticabilità. Per questo da qualche stagione ha istituito un premio alle società che dimostrano di avere il miglior manto erboso. Capitani, allenatori, produttori televisivi e un agronomo della Lega di B sono chiamati ad esprimere il proprio giudizio di merito con votazione da 1 a 5 ad ogni partita. A fine stagione viene concesso un riconoscimento economico ai tre migliori campi, da investire proprio nelle migliorie del terreno; mentre alle tre società ultime in classifica viene invece decurtata una somma derivante dalle risorse collettive (da 50 a 150mila euro).

In questa classifica, peggio del terreno di gioco del Perugia sono messi solo lo ‘Zini’ di Cremona e il ‘Marulla’ di Cosenza. Il migliore, invece, è quello di Cittadella, seguito da Padova e Verona. La classifica è parziale e si può fare ancora in tempo a rimontare, magari grazie a qualche importante intervento di manutenzione, come avvenne l’anno scorso, quando il ‘Curi’ riuscì proprio in extremis ad uscire dal trio dei peggiori.

Il problema – sottolineato più volte anche da mister Alessandro Nesta – è lo scarso drenaggio, che lo rende assai pesante. Conseguenza della scarsa manutenzione effettuata negli anni della serie D. Ora, ormai, c’è poco da fare. Serve un intervento radicale. E con uno stadio “di proprietà” (o, come si vocifera, con una concessione a lunga scadenza) se ne potrebbe far carico direttamente la società.

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